giovedì 13 febbraio 2014

L'Italia frana ancora quando piove

“I disastri arrivano ormai a ritmo accelerato: e tutti dovremmo aver capito che ben poco essi hanno di “naturale” poiché la loro causa prima sta nell’incuria, nell’ignavia, nel disprezzo che i governi da decenni dimostrano per la stessa sopravvivenza fisica del fu giardino d’Europa e per l’incolumità dei suoi abitanti. ..................... Fino a che la difesa della natura e del suolo non diventerà la base della pianificazione del territorio, fino a che questo non sarà considerato patrimonio comune (anziché res nullius, come è stato finora), continueremo a contare le morti e le distruzioni”.
Questo scriveva Antonio Cederna in un articolo dal titolo Perché l'Italia frana quando piove pubblicato sul Corriere della Sera il 3 gennaio 1973, quarantuno anni fa.
E' cambiato qualcosa da allora? Leggendo le cronache di questi giorni la risposta è un deciso no.
Scrive Salvatore Settis in un articolo su Eddyburg del 1 febbraio 2014: “di prevenzione si parla, ma senza poi far nulla. Per citare la voce più autorevole, è di ieri il discorso del Presidente Napolitano dopo l’alluvione delle Cinque Terre (quattro morti, ottobre 2011): «bisogna affrontare il grande problema nazionale della tutela e della messa in sicurezza del territorio, passando dall’emergenza alla prevenzione». Sagge parole, alle quali non è seguito nulla di concreto”. E ancora: “Non sono i colpi di un destino avverso, ma eventi che dovrebbero innescare meccanismi di consapevolezza e di prevenzione: una miglior conoscenza dei territori, mappe del rischio, soluzioni possibili. E invece, rassegnati, passiamo dalla retorica della prevenzione a una cultura dell’emergenza che piange perennemente su se stessa”.


L'Italia è un paese altamente franoso, esposto a rischio idrogeologico, eppure non esiste neppure una carta aggiornata che copra tutto il territorio nazionale. Mancanza di fondi? No, i fondi ci sarebbero ma vengono dirottati verso altre opere che non fanno che aumentare la fragilità del territorio: TAV, progetti di nuove autostrade, costruzioni tanto inutili quanto faraoniche, capannoni già in partenza condannati a rimanere vuoti, ecc. Ci viene ripetuto in modo ossessivo che l'edilizia è il motore dello sviluppo, la molla della ripartenza dell'economia italiana e quindi, mentre a parole i nostri governanti e i nostri amministratori lamentano il degrado del territorio, si continua a cementificare suolo al di là e al di sopra non solo del buonsenso ma di ogni vera necessità; si chiedono strade che tagliano la collina, mascherando la richiesta dietro la volontà di difendere il territorio, utilizzando la prevenzione, la difesa e la tutela come se fossero la moda del momento, lo specchietto per le allodole dietro cui nascondere nuovi scempi e nuovi disastri.
L'edilizia e l'economia non ripartono solo con grandi opere e nuove costruzioni ma anche con le ristrutturazioni ed un piano di difesa del territorio che sia veramente tale, non solo nel nome.
Settis conclude il suo articolo scrivendo: “Secondo il rapporto Ance-Cresme, un piano nazionale per la messa in sicurezza del territorio richiederebbe un investimento annuo di 1,2 miliardi per vent’anni, che assorbirebbe una consistente manodopera bilanciando il necessario decremento delle nuove fabbricazioni: e invece negli ultimi anni gli investimenti pubblici per la messa in sicurezza del territorio sono diminuiti mediamente del 50%. Un piano come questo può generare occupazione convogliando anche risorse private, purché sia evidente l’impegno pubblico in volontà politica, risorse economiche e capacità progettuale. Il governo Letta si mostrerà capace di un’inversione di rotta come questa, per esempio spostando sulla difesa del territorio, e su connesse politiche di occupazione giovanile, una parte dei 26 miliardi di spese militari?”
In un documento redatto dopo le alluvioni dell'ottobre/novembre 2011, purtroppo ancora attuale, scrivevamo: “Oggi, con il ripetersi delle alluvioni, si sta facendo strada tra i cittadini più consapevoli la convinzione che l’impegno per la messa in sicurezza del territorio sia l’unica grande opera di cui il nostro paese ha veramente bisogno e, aggiungiamo, potrebbe creare posti di lavoro e produrre ricchezza vera. ….. Ci appelliamo alle Amministrazioni, Comunali, Provinciali, Regionali e Statali affinché, rinunciando anche a dare seguito a progetti già approvati, diano vita a programmi di pianificazione che possano condurre ad un notevole abbattimento, con l’obiettivo dell’azzeramento, dello sfruttamento edilizio del territorio, recuperando l’esistente, già ampiamente sufficiente per la popolazione. Una semplice indagine dimostra che anche nella nostra zona molte case costruite rimangono vuote e invendute, molti capannoni inutilizzati e molti box auto, ultima moda nelle costruzioni, invenduti dopo molto tempo”.

Nessun commento:

Posta un commento