Questo scriveva Antonio
Cederna in un articolo dal titolo Perché l'Italia frana quando
piove pubblicato sul Corriere della Sera il 3 gennaio
1973, quarantuno anni fa.
E'
cambiato qualcosa da allora? Leggendo le cronache di questi giorni la
risposta è un deciso no.
Scrive
Salvatore Settis in un articolo su Eddyburg del 1 febbraio 2014: “di
prevenzione si parla, ma senza poi far nulla. Per citare la voce più
autorevole, è di ieri il discorso del Presidente Napolitano dopo
l’alluvione delle Cinque Terre (quattro morti, ottobre 2011):
«bisogna affrontare il grande problema nazionale della tutela e
della messa in sicurezza del territorio, passando dall’emergenza
alla prevenzione». Sagge parole, alle quali non è seguito nulla di
concreto”. E ancora: “Non sono i colpi di un destino avverso, ma
eventi che dovrebbero innescare meccanismi di consapevolezza e di
prevenzione: una miglior conoscenza dei territori, mappe del rischio,
soluzioni possibili. E invece, rassegnati, passiamo dalla retorica
della prevenzione a una cultura dell’emergenza che piange
perennemente su se stessa”.
L'Italia
è un paese altamente franoso, esposto a rischio idrogeologico,
eppure non esiste neppure una carta aggiornata che copra tutto il
territorio nazionale. Mancanza di fondi? No, i fondi ci sarebbero ma
vengono dirottati verso altre opere che non fanno che aumentare la
fragilità del territorio: TAV, progetti di nuove autostrade,
costruzioni tanto inutili quanto faraoniche, capannoni già in
partenza condannati a rimanere vuoti, ecc. Ci viene ripetuto in modo
ossessivo che l'edilizia è il motore dello sviluppo, la molla della
ripartenza dell'economia italiana e quindi, mentre a parole i nostri
governanti e i nostri amministratori lamentano il degrado del
territorio, si continua a cementificare suolo al di là e al di sopra
non solo del buonsenso ma di ogni vera necessità; si chiedono strade
che tagliano la collina, mascherando la richiesta dietro la volontà
di difendere il territorio, utilizzando la prevenzione, la difesa e
la tutela come se fossero la moda del momento, lo specchietto per le
allodole dietro cui nascondere nuovi scempi e nuovi disastri.
L'edilizia
e l'economia non ripartono solo con grandi opere e nuove costruzioni
ma anche con le ristrutturazioni ed un piano di difesa del territorio
che sia veramente tale, non solo nel nome.
Settis
conclude il suo articolo scrivendo: “Secondo il rapporto
Ance-Cresme, un piano nazionale per la messa in sicurezza del
territorio richiederebbe un investimento annuo di 1,2 miliardi per
vent’anni, che assorbirebbe una consistente manodopera bilanciando
il necessario decremento delle nuove fabbricazioni: e invece negli
ultimi anni gli investimenti pubblici per la messa in sicurezza del
territorio sono diminuiti mediamente del 50%. Un piano come questo
può generare occupazione convogliando anche risorse private, purché
sia evidente l’impegno pubblico in volontà politica, risorse
economiche e capacità progettuale. Il governo Letta si mostrerà
capace di un’inversione di rotta come questa, per esempio spostando
sulla difesa del territorio, e su connesse politiche di occupazione
giovanile, una parte dei 26 miliardi di spese militari?”
In
un documento redatto dopo le alluvioni dell'ottobre/novembre 2011,
purtroppo ancora attuale, scrivevamo: “Oggi,
con il ripetersi delle alluvioni, si sta facendo strada tra i
cittadini più consapevoli la convinzione che l’impegno per la
messa in sicurezza del territorio sia l’unica grande opera di cui
il nostro paese ha veramente bisogno e, aggiungiamo, potrebbe creare
posti di lavoro e produrre ricchezza vera. ….. Ci appelliamo alle
Amministrazioni, Comunali, Provinciali, Regionali e Statali affinché,
rinunciando anche a dare seguito a progetti già approvati, diano
vita a programmi di pianificazione che possano condurre ad un
notevole abbattimento, con l’obiettivo dell’azzeramento, dello
sfruttamento edilizio del territorio, recuperando l’esistente, già
ampiamente sufficiente per la popolazione. Una semplice indagine
dimostra che anche nella nostra zona molte case costruite rimangono
vuote e invendute, molti capannoni inutilizzati e molti box auto,
ultima moda nelle costruzioni, invenduti dopo molto tempo”.
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