Siamo sempre stati e
rimaniamo convinti che il territorio sia un bene comune fondamentale,
al pari dell'acqua, dell'aria, del paesaggio. Il paesaggio del resto
è tutelato dalla Costituzione che all'articolo 9 recita: La
Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca
scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e
artistico della Nazione
Proprio per questi
motivi, e in ossequio alla Costituzione, pensiamo che la crisi e la
mancanza di liquidità in cui versano le casse delle Amministrazioni
Comunali non debba giustificare la vendita di pezzi di territorio al
primo magnate o speculatore che li pretende, neppure dietro l'offerta
di cifre solo apparentemente alte: il territorio non è
monetizzabile, il suo valore non è misurabile e tanto meno lo si
misura in base a quanto potrebbe rendere.
La notizia della vendita
del sentiero pubblico ci ha stimolato alcune riflessioni, in
particolare su che cosa è diventata la politica o, meglio, sulla sua
degenerazione o scomparsa.
Sono molte infatti le
Amministrazioni Comunali che disinvoltamente utilizzano beni pubblici
(che dovrebbero difendere e salvaguardare) cedendoli o affidandoli in
gestione a privati dando in questo modo un sollievo solo temporaneo
alle casse dell'amministrazione ma soprattutto causando un
impoverimento della qualità del territorio e conseguentemente della
comunità che lo abita. Quasi mai infatti, e anche nel nostro Comune
e nel nostro Golfo ne abbiamo esempi, la logica del profitto coincide
con l'interesse collettivo. Quasi sempre la voracità della rendita
economica immediata prevale sulla conservazione del bene di interesse
pubblico provocandone il decadimento, e questo anche in presenza di
Protocolli di Intesa stipulati al momento della privatizzazione o
dell'affidamento in gestione.
Ci siamo chiesti se
questa modalità di vendere o dare in gestione beni che appartengono
alla comunità risponda ad una corretta prassi politica e la
risposta, che cercheremo di articolare, è stata ampiamente negativa.
La politica dovrebbe
essere un progetto complessivo sull’evoluzione di una comunità,
progetto che comprenda variabili sociali, strutturali e economiche
e preveda scelte che definiscano il percorso verso una società
futura, differente e migliore dell'attuale.
Un
corretto agire politico non può limitarsi alla gestione
dell'esistente, risolvendo, o pensando di risolvere i problemi
sempre come emergenze che si presentano all'improvviso, non previste,
non attese, e alle quali bisogna dare una risposta affrettata,
parcellizzata e frammentaria. Non stiamo facendo teoria ma stiamo
pensando per esempio alla gestione del nostro territorio che sempre
più manifesta la sua fragilità, dovuta soprattutto a interventi
dissennati delle varie amministrazioni. Ad ogni “emergenza” si
programmano interventi riparatori senza una visione d'insieme, senza
un ragionamento sulle cause dei piccoli o grandi disastri: è un
tirare a campare fino al prossimo disastro sperando che tocchi
all'amministratore successivo.
Secondo
un corretto agire politico si devono invece coinvolgere, con la
massima trasparenza, i cittadini nelle diverse scelte progettuali e
operative e non si può prescindere da una visione che abbia come
primo obiettivo il mantenimento e lo sviluppo futuro della comunità.
E’
possibile intervenire con azioni politicamente corrette solo agendo
con proposte nelle quali interagiscono organicamente variabili
economiche e sociali, nelle quali cioè lo sviluppo economico si
coniuga con la salvaguardia e la valorizzazione dell’ambiente, con
la cultura e l’istruzione, con un’equa distribuzione della
ricchezza, con la valorizzazione anche qualitativa del lavoro etc..
Le
conseguenze di questa mancanza di progetto politico o, se preferite,
di questa impostazione non culturale della politica sono visibili a
livello statale, regionale e comunale e sono, per fare solo alcuni
esempi, le proposte di privatizzare le spiagge, le costruzioni
effettuate per fini speculativi, la cultura vista solo come un costo
e non come un investimento e, d'altro lato, la giustificazione di
queste azioni con pochi principi, erroneamente ritenuti validi e
indiscutibili: il mercato ha sempre ragione, se i conti evidenziano
profitti l’operazione è indubbiamente giusta, se un intervento ha
superato le verifiche burocratiche e legali è giusto attuarlo, etc
etc.
Continuiamo
a ritenere sbagliate tutte le scelte giustificate unicamente dalla
rendita economica immediata e poste in essere senza prevedere quali
saranno le conseguenze dirette o collaterali in un futuro prossimo o
lontano e, purtroppo, così ci appaiono le scelte che si
stanno compiendo nel nostro Comune.
Nel
post del 30 settembre 2013, “Note alle linee programmatiche...”
scrivevamo che “il territorio con tutto ciò che rappresenta non ha
solo un valore economico ma anzitutto culturale ed è compito
prioritario di una buona amministrazione rendere i propri
concittadini consapevoli del valore del territorio che abitano”.
Pensiamo ancora che in un
Comune come il nostro che fonda buona parte della propria economia
sul turismo e sulla cultura, affidare alla gestione, o meglio, allo
sfruttamento di estranei proprio i beni culturali e le attività
turistiche significhi non solo considerare il territorio come una
merce da cui ottenere il massimo guadagno possibile ma, ancor più
grave, rendere i cittadini sempre più distanti, inconsapevoli,
destinati a non avere voce sul destino di un territorio/patrimonio
che appartiene prima di tutto a loro.
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