martedì 4 febbraio 2014

Nostalgia della politica

Abbiamo letto qualche giorno fa sulla Nazione la notizia che il Comune di Lerici ha venduto un sentiero pubblico ad un magnate russo per consentirgli di unire due sue proprietà.
Siamo sempre stati e rimaniamo convinti che il territorio sia un bene comune fondamentale, al pari dell'acqua, dell'aria, del paesaggio. Il paesaggio del resto è tutelato dalla Costituzione che all'articolo 9 recita: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione

Proprio per questi motivi, e in ossequio alla Costituzione, pensiamo che la crisi e la mancanza di liquidità in cui versano le casse delle Amministrazioni Comunali non debba giustificare la vendita di pezzi di territorio al primo magnate o speculatore che li pretende, neppure dietro l'offerta di cifre solo apparentemente alte: il territorio non è monetizzabile, il suo valore non è misurabile e tanto meno lo si misura in base a quanto potrebbe rendere.
La notizia della vendita del sentiero pubblico ci ha stimolato alcune riflessioni, in particolare su che cosa è diventata la politica o, meglio, sulla sua degenerazione o scomparsa.


Sono molte infatti le Amministrazioni Comunali che disinvoltamente utilizzano beni pubblici (che dovrebbero difendere e salvaguardare) cedendoli o affidandoli in gestione a privati dando in questo modo un sollievo solo temporaneo alle casse dell'amministrazione ma soprattutto causando un impoverimento della qualità del territorio e conseguentemente della comunità che lo abita. Quasi mai infatti, e anche nel nostro Comune e nel nostro Golfo ne abbiamo esempi, la logica del profitto coincide con l'interesse collettivo. Quasi sempre la voracità della rendita economica immediata prevale sulla conservazione del bene di interesse pubblico provocandone il decadimento, e questo anche in presenza di Protocolli di Intesa stipulati al momento della privatizzazione o dell'affidamento in gestione.
Ci siamo chiesti se questa modalità di vendere o dare in gestione beni che appartengono alla comunità risponda ad una corretta prassi politica e la risposta, che cercheremo di articolare, è stata ampiamente negativa.
La politica dovrebbe essere un progetto complessivo sull’evoluzione di una comunità, progetto che comprenda variabili sociali, strutturali e economiche e preveda scelte che definiscano il percorso verso una società futura, differente e migliore dell'attuale.
Un corretto agire politico non può limitarsi alla gestione dell'esistente, risolvendo, o pensando di risolvere i problemi sempre come emergenze che si presentano all'improvviso, non previste, non attese, e alle quali bisogna dare una risposta affrettata, parcellizzata e frammentaria. Non stiamo facendo teoria ma stiamo pensando per esempio alla gestione del nostro territorio che sempre più manifesta la sua fragilità, dovuta soprattutto a interventi dissennati delle varie amministrazioni. Ad ogni “emergenza” si programmano interventi riparatori senza una visione d'insieme, senza un ragionamento sulle cause dei piccoli o grandi disastri: è un tirare a campare fino al prossimo disastro sperando che tocchi all'amministratore successivo.
Secondo un corretto agire politico si devono invece coinvolgere, con la massima trasparenza, i cittadini nelle diverse scelte progettuali e operative e non si può prescindere da una visione che abbia come primo obiettivo il mantenimento e lo sviluppo futuro della comunità.
E’ possibile intervenire con azioni politicamente corrette solo agendo con proposte nelle quali interagiscono organicamente variabili economiche e sociali, nelle quali cioè lo sviluppo economico si coniuga con la salvaguardia e la valorizzazione dell’ambiente, con la cultura e l’istruzione, con un’equa distribuzione della ricchezza, con la valorizzazione anche qualitativa del lavoro etc..
Le conseguenze di questa mancanza di progetto politico o, se preferite, di questa impostazione non culturale della politica sono visibili a livello statale, regionale e comunale e sono, per fare solo alcuni esempi, le proposte di privatizzare le spiagge, le costruzioni effettuate per fini speculativi, la cultura vista solo come un costo e non come un investimento e, d'altro lato, la giustificazione di queste azioni con pochi principi, erroneamente ritenuti validi e indiscutibili: il mercato ha sempre ragione, se i conti evidenziano profitti l’operazione è indubbiamente giusta, se un intervento ha superato le verifiche burocratiche e legali è giusto attuarlo, etc etc.
Continuiamo a ritenere sbagliate tutte le scelte giustificate unicamente dalla rendita economica immediata e poste in essere senza prevedere quali saranno le conseguenze dirette o collaterali in un futuro prossimo o lontano e, purtroppo, così ci appaiono le scelte che si stanno compiendo nel nostro Comune.
Nel post del 30 settembre 2013, “Note alle linee programmatiche...” scrivevamo che “il territorio con tutto ciò che rappresenta non ha solo un valore economico ma anzitutto culturale ed è compito prioritario di una buona amministrazione rendere i propri concittadini consapevoli del valore del territorio che abitano”.
Pensiamo ancora che in un Comune come il nostro che fonda buona parte della propria economia sul turismo e sulla cultura, affidare alla gestione, o meglio, allo sfruttamento di estranei proprio i beni culturali e le attività turistiche significhi non solo considerare il territorio come una merce da cui ottenere il massimo guadagno possibile ma, ancor più grave, rendere i cittadini sempre più distanti, inconsapevoli, destinati a non avere voce sul destino di un territorio/patrimonio che appartiene prima di tutto a loro.








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