Il Masterplan per l’isola
Palmaria, fatto proprio dalla Cabina di regia il 16 maggio u.s.,
nasce da un Protocollo di Intesa siglato il 14 marzo 2016 tra il
Comune di Porto Venere, il Ministero della Difesa, la Regione Liguria
e l’Agenzia del Demanio che prevede, ai primi due punti
dell’articolo 2 comma 3, di:
“a) recuperare alcuni
immobili in uso alla Marina Militare che potrebbero essere messi a
disposizione del progetto di valorizzazione dell’isola;
b) migliorare, anche con
interventi di manutenzione straordinaria, alcuni beni che rimangono
in uso alla Marina Militare essendo inseriti nel complesso di più
generale valorizzazione dell’isola e ancora necessari alle esigenze
della Forza Armata;”
Al successivo comma 4 è
scritto che “costituiscono
oggetto degli interventi che saranno previsti nei successivi atti
attuativi” i
beni indicati ai punti successivi e, in particolare, al punto ii “i
beni che rimangono nella disponibilità della Forza Armata e che
saranno oggetto di interventi di innovazione e di manutenzione
straordinaria compresi e finanziati nell’ambito dell’attuazione
del programma di valorizzazione dell’isola Palmaria, senza oneri
per le Amministrazioni Statali;” mentre
nel punto iii sono indicate “le
reti e i beni strumentali (strade e reti tecnologiche)” sempre
“senza
oneri per le Amministrazioni Statali.
In una prima versione del
Protocollo, quella approvata dal C.C. n. 28 del 18 settembre 2015,
era scritto “senza
oneri per il Ministero della Difesa e per la Marina Militare”.
Perché
è stata variata questa dicitura? Per comprendere anche il MiBAC che
nel frattempo era entrato a far parte della Cabina di Regia? Per
comprendere le Amministrazioni Statali Periferiche e quindi anche il
Comune? Per ottemperare in questo modo all’articolo
56 bis della legge 98/2013 che prevede il trasferimento a titolo non
oneroso
a Comuni, Province, Città Metropolitane e Regioni di beni immobili
demaniali?
In
realtà questo trasferimento di beni immobili dal Ministero della
Difesa all’Agenzia del Demanio e infine al Comune di Porto Venere
non è affatto non oneroso: l’impegno economico che il Comune si è
assunto per la ristrutturazione dei beni che rimangono nella
disponibilità della Marina è consistente così come sarà
impegnativo intervenire sulle strade e reti tecnologiche. In sostanza
la Marina Militare con il Protocollo dice al Comune: “ti
trasferisco questi beni perché tu possa venderli e con il ricavato
sistemare i beni che rimangono a me”. Nel Masterplan è infatti
prevista la vendita/concessione pluriennale di tutti i beni ad
esclusione di quelli storico-artistici per i quali è prevista solo
la concessione. Per questi beni storico-artistici è prevista una
destinazione in parte museale e in parte ricettiva con forti spese di
ristrutturazione viste le pessime condizioni in cui versano.
Chiariamo
anche quali sono i beni che rimangono alla Marina Militare: non sono
beni che hanno a che fare con la sicurezza o la difesa nazionale ma
beni che hanno a che fare piuttosto con la conservazione di
privilegi. Si tratta infatti di due stabilimenti balneari riservati a
dipendenti del Ministero della Difesa, civili e militari, e di
abitazioni che, ristrutturate anch’esse a spese del Comune,
verranno adibite a residenze estive sempre per dipendenti del
Ministero.
Lo
stesso Protocollo di Intesa enuncia nelle premesse che il Ministero
della Difesa ha in
uso
sull’isola Palmaria numerosi beni immobili, quindi beni che ha
utilizzato e che utilizza ma di cui non può disporre come di una sua
proprietà. Beni che appartengono ai cittadini, beni comuni che vanno
tutelati e preservati e, come scrive Paolo Maddalena, “la
vera tutela dei beni comuni sta nel ritenerli beni
fuori
commercio, in appartenenza e in uso da parte di tutti”.
(Torino 2013) Come sostenuto, infatti, dallo stesso Maddalena e da
altri autorevoli costituzionalisti, la proprietà demaniale è
proprietà collettiva, cioè è attribuito alla collettività il
potere di godere di questi beni in modo duraturo garantendone nel
contempo la cura, la tutela e la conservazione per la presente e le
future generazioni. Cura, tutela e conservazione di cui avrebbe
dovuto farsi carico il Ministero della Difesa nel periodo in cui ha
avuto in uso i beni, cosa che invece non è accaduta. Non solo, è la
collettività che ora deve farsi carico delle ristrutturazioni e
manutenzioni, rinunciando per questo a altri beni che le
appartengono.
Gli
immobili per i quali è prevista la vendita sono legati alla storia
dell’isola, inseriti in un contesto naturalistico e paesaggistico
di grande valore, parametri che però non ne alzano di molto il
valore commerciale. Sono tutti in pessime condizioni il che,
unitamente al fatto che si trovano su un’isola, con i maggiori
costi per la ristrutturazione che questo comporta, abbassa il loro
valore e quindi i possibili introiti per il Comune che non riuscirà
a coprire le spese previste nel Protocollo solo con queste vendite.
Tra acquisto e ristrutturazione si tratta di cifre molto alte: il
Masterplan prevede un investimento totale tra i 21,40 e i 24,90
milioni di euro suddivisi tra pubblico e privato in questo modo: tra
9,30 e 11,50 milioni di euro per il pubblico e tra 12,10 e 13,40
milioni di euro per il privato. Ricordiamo che è a carico del Comune
la ristrutturazione non solo dei beni che rimangono in uso alla
Marina Militare ma anche il rifacimento e l’adeguamento delle
strade e delle reti tecnologiche.
Il
nostro territorio sarà quindi svenduto, ceduto a speculatori
immobiliari e i cittadini subiranno una vera e propria espropriazione
dei loro diritti collettivi.
In
conclusione, il passaggio di questi beni dal Ministero della Difesa
al Comune di Porto Venere non è affatto a titolo non
oneroso
ma avviene dietro pagamento di una onerosissima contropartita che
priverà la comunità non solo di beni immobili ma anche di risorse
economiche.
Questa
è la macroscopica contraddizione del Protocollo di Intesa che si
accompagna a una distorta interpretazione del concetto di
valorizzazione di cui tratteremo nel prossimo scritto.
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