L’art.42
della Costituzione della Repubblica Italiana, commi 1 e 2, dice:
La
proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne
determina i modi di acquisto e di godimento e i limiti allo scopo di
assicurare la funzione sociale e renderla accessibile a tutti.
La
proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge e
salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale.
La
proprietà non è quindi una forma di sovranità sui beni, ma è un
diritto che deve armonicamente inserirsi nel più ampio contesto
sociale e non contrastare con esso. Per il proprietario vi saranno,
quindi, non solo diritti (o meglio facoltà, espressione del diritto
di proprietà), ma anche doveri, che renderanno il diritto di
proprietà non solo utile per il proprietario, ma anche per la
società
Le
Amministrazioni pubbliche dovrebbero quindi, nello svolgere il loro
mandato, vigilare che le loro decisioni riguardanti il coinvolgimento
dei privati siano sempre finalizzate a una funzione sociale e, quando
possibile, raggiungere un grado elevato di capacità gestionale della
struttura pubblica tale da potersi anche sostituire ad eventuali
interventi dei privati. Naturalmente tutto questo presuppone che la
politica riconquisti una sua moralità ed una autonomia dalle forze
economiche con cui deve interagire per poterle indirizzare.
Il
territorio in questa logica deve essere il luogo in cui la comunità
può progredire il più armonicamente possibile difendendo i propri
valori materiali ed immateriali e non il luogo dove si combatte una
perenne battaglia economica finalizzata ad ottenere, in modo non
sempre trasparente, appalti, plusvalenze fondiarie e voti in modo
clientelare.
I
riferimenti ideologi sono stati rifiutati, dimenticati e le azioni
politiche sembrano avere come unico scopo la rendita economica e la
sopravvivenza di un mercato delle merci e delle persone senza regole
o con regole facilmente eludibili. Il “progresso “ è inteso
spesso in senso economico a vantaggio di alcuni privilegiati e non
come progresso collettivo per una qualità migliore della vita
sociale. Per rendere possibile l’attuale modello si sono imposti
comportamenti e slogan di facile divulgazione che determinano e
avvallano comportamenti delle classi dirigenti che altrimenti
sarebbero difficilmente giustificabili: il mercato ha sempre ragione
e si autoregola, il settore pubblico non funziona e per farlo
funzionare bisogna privatizzarlo, i progetti non si realizzano perché
c’è troppa democrazia che rallenta o impedisce gli interventi, i
diritti dei lavoratori costano troppo e per questo non siamo
concorrenziali etc. etc..
Ma
l’esperienza dimostra che tutto questo non è vero e spesso questi
principi si contraddicono fra loro. Si può infatti vedere come le
banche, le assicurazioni e la finanza creativa, benché in mano ai
privati, abbiano contribuito a far nascere ed aggravare la crisi,
come la minore democrazia sui luoghi di lavoro e l’abbattimento di
molti diritti dei lavoratori non abbiano aumentato l’occupazione e
la competitività della nazione, come le privatizzazioni non abbiano
avuto come esito una maggiore efficienza ma stiano impoverendo il
paese portandolo alla deindustrializzazione.
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