lunedì 30 settembre 2013

Pubblico e privato

L’art.42 della Costituzione della Repubblica Italiana, commi 1 e 2, dice:
 
La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto e di godimento e i limiti allo scopo di assicurare la funzione sociale e renderla accessibile a tutti.
La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale.


La proprietà non è quindi una forma di sovranità sui beni, ma è un diritto che deve armonicamente inserirsi nel più ampio contesto sociale e non contrastare con esso. Per il proprietario vi saranno, quindi, non solo diritti (o meglio facoltà, espressione del diritto di proprietà), ma anche doveri, che renderanno il diritto di proprietà non solo utile per il proprietario, ma anche per la società
Le Amministrazioni pubbliche dovrebbero quindi, nello svolgere il loro mandato, vigilare che le loro decisioni riguardanti il coinvolgimento dei privati siano sempre finalizzate a una funzione sociale e, quando possibile, raggiungere un grado elevato di capacità gestionale della struttura pubblica tale da potersi anche sostituire ad eventuali interventi dei privati. Naturalmente tutto questo presuppone che la politica riconquisti una sua moralità ed una autonomia dalle forze economiche con cui deve interagire per poterle indirizzare.

 
Il territorio in questa logica deve essere il luogo in cui la comunità può progredire il più armonicamente possibile difendendo i propri valori materiali ed immateriali e non il luogo dove si combatte una perenne battaglia economica finalizzata ad ottenere, in modo non sempre trasparente, appalti, plusvalenze fondiarie e voti in modo clientelare.
 Nel clima politico in cui viviamo è sempre più evidente che l’Italia sta decadendo velocemente perché non c’è una politica coerente e capace di fare scelte coraggiose e mirate a promuovere l’interesse collettivo. Si confrontano e si scontrano interessi di parte faziosi e coalizzati a seconda delle convenienze del momento. I protagonisti sono spesso i detentori di diversi tipi di potere economico e politico (rappresentanti dei partiti, degli imprenditori, della finanza, dei faccendieri, delle mafie etc.) che cercano con le loro azioni un utile economico immediato atto a soddisfare i loro interessi particolari.
I riferimenti ideologi sono stati rifiutati, dimenticati e le azioni politiche sembrano avere come unico scopo la rendita economica e la sopravvivenza di un mercato delle merci e delle persone senza regole o con regole facilmente eludibili. Il “progresso “ è inteso spesso in senso economico a vantaggio di alcuni privilegiati e non come progresso collettivo per una qualità migliore della vita sociale. Per rendere possibile l’attuale modello si sono imposti comportamenti e slogan di facile divulgazione che determinano e avvallano comportamenti delle classi dirigenti che altrimenti sarebbero difficilmente giustificabili: il mercato ha sempre ragione e si autoregola, il settore pubblico non funziona e per farlo funzionare bisogna privatizzarlo, i progetti non si realizzano perché c’è troppa democrazia che rallenta o impedisce gli interventi, i diritti dei lavoratori costano troppo e per questo non siamo concorrenziali etc. etc..
Ma l’esperienza dimostra che tutto questo non è vero e spesso questi principi si contraddicono fra loro. Si può infatti vedere come le banche, le assicurazioni e la finanza creativa, benché in mano ai privati, abbiano contribuito a far nascere ed aggravare la crisi, come la minore democrazia sui luoghi di lavoro e l’abbattimento di molti diritti dei lavoratori non abbiano aumentato l’occupazione e la competitività della nazione, come le privatizzazioni non abbiano avuto come esito una maggiore efficienza ma stiano impoverendo il paese portandolo alla deindustrializzazione.

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