Ci sono due aspetti di questa
vicenda che vanno messi in evidenza. Il primo è di ordine
sociale/costituzionale e non ci riferiamo solo ai beni in dismissione
dal demanio militare ma anche a quelli già nella disponibilità del
Comune come Casa Carassale sull’isola o la casa del Capitano sul
promontorio di Porto Venere. Della vendita di casa Carassale a una
società con sede in Estonia (ma con nomi italianissimi nel C.d.A.)
si parla nella stessa pagina del giornale, mentre l’asta per la
casa del Capitano deve ancora essere bandita. Si tratta, dicevamo, di
due beni appartenenti al Comune, cioè alla Comunità e, come
scrivono autorevoli costituzionalisti come Paolo Maddalena, tali beni
sono a tutti gli effetti beni comuni, cioè beni “fuori commercio e
in proprietà collettiva, e che, pertanto, sono inalienabili,
inusocapibili e inespropriabili”.
La comunità invece è stata e
sarà privata di beni che le appartengono e dei quali non potrà più
usufruire, ricavandone vantaggi economici miseri e di breve durata.
Ne uscirà, in poche parole, irrimediabilmente impoverita. Ci sono
leggi, che definiamo sciagurate, che consentono queste vendite per
far quadrare il bilancio e che hanno fatto perdere di vista agli
amministratori il bene comune di tutti i cittadini. Poco importa se
ci si disfa di un invidiabile patrimonio culturale e naturale, quello
che prevale è attribuire valore a un bene solo se tale valore è
quantizzabile, monetizzabile, se contribuisce a “fare cassa”.
Nessun amministratore è però
obbligato ad agire secondo quanto indicato da queste leggi, sta alla
sua sensibilità a alla sua lungimiranza decidere come sopperire alla
mancanza di trasferimenti dallo Stato.
Il secondo aspetto riguarda
invece la sdemanializzazione dei beni militari sull’isola e la
procedura di Masterplan che, anche con un notevole costo economico,
la Regione Liguria ha messo in piedi.
La Regione ha infatti
incaricato lo studio Land di Milano, architetto Kipar, di redigere,
in concorso con lo studio Reag, un Masterplan e ha avviato un
percorso partecipato per coinvolgere cittadini e associazioni nella
stesura di questo piano. Proprio il giorno prima della visita
dell’imprenditore sull’isola si era conclusa una due giorni di
passeggiate, discussioni e presentazione di proposte che aveva visto
coinvolti, accanto ai tecnici dello studio Land e dello studio Reag,
numerosi cittadini e associazioni. Ne eravamo usciti tutti guardando
con fiducia al prosieguo di questi incontri, l’architetto Kipar si
era lasciato andare a espressioni rassicuranti, per noi, sul futuro
dell’isola. Ci chiediamo se era al corrente di quanto sarebbe
avvenuto da lì a poche ore.
Come cittadini ci sentiamo
presi in giro, lasciati vagare per l’isola (tra l’altro a noi è
stato negato l’accesso a Forte Palmaria con la scusa della
sicurezza, problema evidentemente risolto il giorno dopo) a illudersi
di avere una qualche voce in capitolo mentre altrove si giocava la
vera partita.
Non dimentichiamo che l’isola
è Parco Naturale, Sito di Interesse Comunitario, Sito Unesco, Area di Tutela Marina e che la conservazione e la salvaguardia dei
valori che le hanno permesso questi riconoscimenti devono essere
prevalenti su ogni altro interesse.
Ribadiamo quanto abbiamo già
scritto e pubblicato sull’isola e sul suo futuro: vorremmo Palmaria
libera, pubblica, accessibile e naturale, aperta a un turismo
sostenibile e soprattutto consapevole e rispettoso del tesoro che,
sottolineiamo ancora una volta, ci appartiene e che, come scrive
l’Unesco, abbiamo il dovere di preservare per le future
generazioni.
Abbiamo inserito una richiesta
nel documento inviato al Tavolo Tecnico e la ripetiamo con maggiore
forza dopo quanto avvenuto: chiediamo che nell’eventualità
che un numero molto ridotto di beni (ci riferiamo a abitazioni, dalla
vendita devono essere esclusi i beni storici e artistici) debba
essere venduto a privati per far fronte alle condizioni imposte dalla
Marina, le vendite abbiano inizio in una fase successiva rispetto
alla progettazione e questo affinché il privato potenzialmente
interessato a investire sull’isola si metta in gioco conoscendo i
vincoli imposti dal Masterplan. Potrebbe esserci in caso contrario il
rischio, assolutamente da non correre, che siano gli investitori a
guidare la progettazione verso i propri scopi.
Speriamo
non sia già troppo tardi.
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